Chi vende libri vende speranza.
La speranza prende molti nomi: è un orizzonte, è una direzione, è un compagno di viaggio, è una storia che ci renda più attenti o ci spinga a pensare.
Chi vende libri vende speranza.
Certo, la speranza si trova anche da altre parti: ma mica da tante altre parti.
Chi vende libri vende speranza: è per questo che gli chiediamo tanto, che pretendiamo molto da un autore o da un illustratore, che non perdoniamo un editore. La speranza è qualcosa di personale.
Chi vende libri vende speranza. E non è affatto una brutta parola: non appartiene a nessuno, e ha dei significati diversi a seconda di chi la usa. Per me non è una parola religiosa, ma una parola dell’anima, e i libri cui tengo di più in qualche modo con la speranza hanno a che fare.
Chi vende libri vende speranza.
Certo, non solo: ci sono anche libri che non lasciano speranza, e li leggiamo a volte per sentirci meno soli o per capirci meglio, e anche questa è una forma di speranza.
Chi vende libri vende speranza, e non si chiede perché. Chiedersi perché qualcuno non legga non è un ragionamento, è un esercizio di presunzione, è una pratica autoindulgente, è un modo di sentirsi migliori. Di solito la speranza, su questa terra, non ha molto a che fare con l’essere migliori.
Chi vende libri vende speranza: pure, in questo periodo, dal punto di vista finanziario, conviene investire sulla disperazione. La disperazione ha più mercato, ed è un mercato in crescita. È perfino un target più prevedibile. Gli imprenditori della disperazione trovano facilmente partner politici e spazio sui social: la disperazione richiede anche un minore investimento di tempo e non chiede di cambiare davvero nulla.
Dal punto di vista economico, culturale, politico, invece, non ha molto senso scommettere sulla disperazione: quella è la strada più facile, più rapida, ma non aiuta. Sì, era solo un inciso. Perché poi in realtà non mi fido dei politici della disperazione, ma nemmeno mi fido troppo dei politici della speranza – perché la speranza costa fatica (io lo so, io faccio libri), e va condivisa.
Chi vende libri vende speranza, coltiva speranza. Ci vuole coraggio e incoscienza, voglia di far le cose insieme, determinazione, idee nuove, creatività.
Chi vende libri vende speranza ma non è un idealista: fa il suo mestiere, e il suo mestiere ha a che fare con le parole e con le idee. Trattatelo bene.
Chi vende libri, chi fa libri, chi lavora con i libri, comunque e per inciso, avrebbe anche bisogno di una legge fatta bene: e che i libri si vedessero di più anche in televisione (per esempio), come accade in altri paesi; che si parlasse un po’ di più di cosa fare e meno di volontariato (per esempio); che si aiutasse la scuola a parlare di lettura (per esempio).
Speriamo.
PS: l’idea non viene dai pubblicitari, ma da Gianni Rodari:
Se io avessi una botteguccia
fatta di una sola stanza
vorrei mettermi a vendere
sai cosa? La speranza.
"Speranza a buon mercato!"
Per un soldo ne darei
ad un solo cliente
quanto basta per sei.
E alla povera gente
che non ha da campare
darei tutta la mia speranza
senza fargliela pagare.
(Filastrocche per tutto l’anno)