Stavo facendo i compiti e mi stavo arrabattando su una pagina del libro di storia scritta con caratteri così piccoli, che erano come tanti granelli di sabbia dentro i miei occhi.
Mi sono alzato per andare a chiedere a mia madre di venire a leggere con me quella pagina mostruosa, quando ho sentito aprirsi e chiudersi con violenza la porta d’ingresso.
Subito dopo ho udito la voce strozzata di Erica: “Sono io, mamma. Dove sei?”.
“Sono in cucina” le ha risposto mia madre.
Erica è andata a trovarla, ha chiuso la porta, ma questo non mi ha impedito di sentirla piangere.
Sentir piangere Erica è un evento raro. E comunque quando piange lo fa perché è arrabbiata, non perché è triste o dispiaciuta per qualcosa di cui è pentita o che le provoca dei rimorsi o altro.
Che cosa le era successo?, mi sono chiesto. Che avesse bisticciato con il suo ragazzo o con una amica? Che avesse preso un brutto voto a scuola ed era furiosa perché non aveva soddisfatto le sue aspettative? So quanto sono importanti per lei i risultati scolastici, più per orgoglio personale che per altro.
Erica continuava a piangere, finché ha smesso e ha cominciato a parlare con un tono aspro e duro.
Allora la curiosità ha avuto il sopravvento e mi sono avvicinato in punta di piedi alla porta della cucina.
“Erano in quattro, capisci? E nessuno che abbia detto una sola parola per fermarli mentre mi insultavano. Se la prendevano con i miei capelli, con la mia gonna troppo corta, con le mie scarpe, con tutto ciò che avevo addosso, insomma”.
“Perché non sei scesa subito dall’autobus?”
“Col rischio che scendessero anche loro e mi seguissero per strada dove sarebbe stato peggio, forse? Sull’autobus mi sentivo un po’ più sicura. Ma forse ho sbagliato”.
“Oh, bambina mia, quanto mi dispiace. E l’autista, non se n’è accorto? Non poteva chiamare qualcuno con il telefonino?”
“Ha fatto finta di non accorgersene. Ma ho preso il numero di targa dell’autobus e papà deve promettermi che si metterà in contatto con la società dei trasporti, perché quell’uomo non la passi liscia. A un certo punto ho alzato la voce per difendermi. Ma non è servito a nulla. Comunque non mi sono lasciata toccare. Gli avrei assestato dei calcioni al posto giusto se avessero osato sfiorami con una delle loro manacce. Ma è stato terribile, mamma. Mi sono sentita sola. Com’è possibile assistere a queste cose e non muovere un dito per difendere una ragazza? Tanto vigliacche sono le persone?”
“Sei stata sfortunata, Erica. In un’altra situazione avresti trovato qualcuno capace di tenere testa a quei malviventi”.
“Adesso voglio provare a non pensarci più. Comunque non ho avuto paura. Ero arrabbiata e furiosa più con gli altri che con quei quattro bulli. Non parlarne con nessuno, mi raccomando. E non dire niente nemmeno a Tonino”.
A quel punto ho fatto velocemente dietro front e sono tornato nella mia camera.
Ho pensato che Erica commetteva uno sbaglio a non volerne parlare con me. Non ero mica piccolo come credeva. Tanto è vero che ero così furioso per quello che le era successo, che mi veniva da piangere per la rabbia.
La serie del piccolo Antonio di Angelo Petrosino