Monumenti distrutti, scontri e botte da orbi tra consorterie letterarie: questo il triste bilancio a margine de “I classici del pensiero”, la nota manifestazione sportiva che mette in competizione libri della tradizione europea.
Come i nostri lettori sanno, i sorteggi hanno assegnato i quarti di finale allo scontro diretto tra Seneca (con la sua Apoteosi della zucca) ed Erasmo da Rotterdam (con l’Elogio della follia): Seneca, nativo di Cordoba ma naturalizzato romano, giocava in casa, mentre la città eterna si apprestava a ospitare i facinorosi sostenitori di Erasmo e i loro irripetibili slogan in latino medievale.
Non è ancora chiara l’entità dei danni di questa notte di elogio della follia: l’Università della Sapienza è stata coperta da un gigantesco “Ci sono tante grammatiche quanti sono i grammatici, e anche di più” (una delle velenose affermazioni di Erasmo), mentre i Fori imperiali sono pieni di scritte “Romanes eunt domum” (di cui ci sfugge invece l’attribuzione). Dovrebbe essere ormai chiaro a tutti quanto questi sedicenti lettori hanno in spregio la grammatica e le declinazioni latine.
Ora, però, non è mia intenzione prendermela con gli hooligan di Rotterdam o di Cambridge, né con i servizi di sicurezza della capitale. No: credo sia il momento di affrontare il vero nodo della questione.
È giusto dare tutto questo spazio al libro e alla lettura?
Io credo di no: il libro (stampato o elettronico) è un lodevole passatempo, ma non è intorno a questo che deve ruotare la nostra società. Credo soprattutto che sia una vergogna assoluta questa incredibile adorazione che viene fatta degli scrittori, e ancora più degli editor. Nei bar ormai si parla solo di come andrà a finire un romanzo, e tutti sono redattori. In televisione ogni telegiornale dedica almeno cinque minuti a parlare solo di libri, mentre nel fine settimana ci sono vere e proprie maratone in cui si affrontano solo le novità.
Per non parlare dei compensi scandalosi che riscuotono gli autori e in generale tutte le persone che ruotano intorno al comparto editoriale: in classe di mio figlio tutti vogliono fare gli scrittori, maschi e femmine; e certo i ricchi cachet dei redattori e degli uffici stampa c’entrano qualcosa.
Domandiamocelo dunque: il libro ha un’utilità sociale? Serve a qualcosa che tutti questi giovini imparino a leggere e scrivere, e a farlo meglio che possono? Le strade sono più sicure con tutti questi romanzi in giro?
Io credo di no.
Credo che si debba tornare ai buoni principi di una volta: al gioco del pallone, per esempio. Avete mai visto quanto genuino, sano e ruspante divertimento suscita il calcio? Ecco: e nessuno farebbe mai follie per il calcio, nessuno lo prenderebbe come pretesto per far danni in centro o in periferia, e mai intorno a siffatto passatempo si verrebbe mai a creare un giro di soldi scandaloso come quello che attanaglia oggidì l’editoria europea.
Quindi fermiamoci un attimo, e riflettiamo.
A cosa servono tutti questi editori? Non ne basterebbe uno soltanto, molto grosso?
A cosa servono tutti questi lettori? Non sarebbe meglio tornare tutti davanti alle nostre televisioni? Vogliamo davvero celebrare la libertà del pensiero? Dove andremo a finire?
A cosa servono tutte queste librerie e queste biblioteche, dentro cui non è nemmeno possibile giocare al pallone?
Fate come me: dite basta hai libri.