Non so come, ma mia madre è sempre stata convinta che la lettura fosse il mezzo per essere più forti, più indipendenti, più liberi. Meno esposti al sopruso e all’umiliazione di sentirsi non riconosciuti dal proprio contesto sociale, perché consapevoli di non avere le parole per raccontarsi.
I miei genitori, a 24 anni l’una e 25 l’altro, con un figlio di un anno e mezzo, emigrano dal Cilento al Monferrato, senza nulla. Né formazione, né professionalità, né soldi. Salvo il loro amore e la fiducia che la voglia di lavorare, l’onestà e la determinazione fossero il loro asso nella manica.
I miei genitori, senza mezzi, erano convinti che la lettura dei libri potesse attivare l’ascensore sociale: così dall’età di tre anni sono diventato formalmente un ratealista Utet per essere introdotto al “Tesoro” della cultura.
Quindi, a rigore, non ho sognato di diventare editore. Ho pensato che dovevo diventarlo per essere migliore e per offrire ad altri l’opportunità di diventarlo. Un’opportunità e una missione.