Riccardo disegna meglio di me. Gli riescono bene soprattutto le caricature.
Su ogni professore ne ha fatto una e sono tutte molto belle.
“Perché non gliele fai vedere?” gli ho detto un giorno.
“Per farmi bocciare?”
“Io credo che li divertirebbero”.
“Meglio non contare sul loro senso dell’umorismo, Tony. Non lo vedi che in classe si ride poco?”
Verso le tre ci siamo dati appuntamento sotto casa mia, per andare a comprare un paio di matite dalla cartoleria in piazza Rebaudengo. La titolare si chiama Clotilde e ci considera tra i suoi più affezionati clienti.
“Sono contenta che non andiate a rifornirvi nella bolgia dei centri commerciali” ci dice. Del resto, io vi tratto bene e quando posso farvi risparmiare, non mi tiro mai indietro”.
Clotilde apprezza la passione di Riccardo per il disegno e lo incoraggia a coltivarla, anche con l’aiuto delle matite speciali che gli consiglia di acquistare.
Il negozio era ancora chiuso e abbiamo deciso di aspettare. Mentre guardavo nella vetrina gli atlanti e le cartine geografiche, a un certo punto Riccardo mi ha toccato un braccio e mi ha detto. “Tony, dimmi che non è vero”.
“Che cosa?” gli ho chiesto stupito.
Quando però ho seguito la direzione del suo sguardo, ho visto che lo stava fissando su un ragazzo che si stava avvicinando alla cartoleria.
E sono rimasto anch’io a bocca aperta come Rick.
Il ragazzo che veniva verso di noi era il ritratto preciso di Riccardo. Stessi capelli, stessi occhi, stessa bocca, stesso tutto, insomma. Un sosia che più sosia non si poteva immaginare.
“Incredibile!” ho esclamato.
Il ragazzo si è fermato a qualche passo da noi e si è messo a fissare Riccardo, stupito e incredulo.
Poi si è avvicinato alla vetrina della cartoleria e gli ha rivolto un debole sorriso. Né lui, né il mio amico riuscivano a spiccicare una parola, perciò ho deciso di dire qualcosa io.
“Abiti a Torino?” ho chiesto al ragazzo.
“No, a Milano. Sono ospite per qualche giorno di mia zia” mi ha risposto.
“Non mi era mai successo di vedere due sosia così perfetti”.
Riccardo continuava a tacere come se fosse ammutolito, e io ho chiesto al ragazzo: “Posso chiederti come ti chiami?”
“Riccardo”.
A quel punto sono ammutolito anch’io. Rick, invece, ha fatto un passo indietro, un po’ spaventato.
“Ma guarda che coincidenza!” ho esclamato quando mi sono ripreso. “Anche lui si chiama Riccardo”.
A quel punto ho osato di più e gli ho chiesto: “Hai un amico speciale a Milano?”
“Sì”.
“Puoi dirmi come si chiama?”
“Antonio”.
Riccardo è impallidito. Io pure. Allora ho balbettato: “Forse la cartolaia ha cambiato orario. Torniamo più tardi”.
E mi sono allontanato con Riccardo, che mi seguiva con le gambe legnose, come se stesse imparando allora allora a camminare.
La serie del piccolo Antonio di Angelo Petrosino