Il nuovo numero di LiBeR, il 106, uscito per la Fiera di Bologna, è dedicato al tema dell'educazione ambientale. Un tema importante, che spazia anche oltre il recinto dell'editoria per ragazzi, e che parla anche di come scegliamo di essere cittadini di questo mondo. Non è solo un esempio di buona divulgazione, ma anche di uno sguardo diverso, più ampio, pieno di meraviglia e di tempi diversi.
Ripropongo qui il mio contributo al numero di LiBeR, sia perché è collegato ai temi di cui ho parlato su queste pagine, sia perché LiBeR è una bella rivista, una rivista che è bello seguire. L'illustrazione, dalla rivista, è di Giacomo Agnello.
Ecco l'articolo.
Gioco con la natura
Un tempo esisteva la “storia naturale”: il termine sopravvive nei più prestigiosi “musei di storia naturale”, ma è per altro caduto in disuso. Da qui, invece, vorrei ripartire, per cercare di cogliere qualcosa che sta accadendo e che attraversa esperienze di gioco e di studio, dentro e fuori la scuola, nei libri per ragazzi e non; e che ha molto a che fare con l’educazione ambientale.
Partiamo allora con un distinguo. In questi anni l’educazione ambientale ha conosciuto un discreto successo: mai completamente recepita nei programmi scolastici, fiorisce invece nei progetti educativi e nelle attività extrascolastiche, nei centri estivi e sul territorio. Tra mille difficoltà, certo: però gode di maggiore visibilità e riscontro di altri campi educativi (penso all’intercultura, per esempio), e di una continuità di finanziamenti legata in particolare alle municipalizzate e a committenti pubblici. All’ambiente sono dedicati diversi libri di divulgazione, e il tema del rispetto dell’ambiente è ormai sdoganato e visibile in film, serie animate, fumetti destinati ai ragazzi.
Ci sono però, è questo il distinguo, almeno due approcci che coesistono: da una parte una sensibilità diffusa, un po’ ingenua e un po’ innocua, sulla “natura” che è una sorta di “vogliamoci bene” senza colpevoli che prescrive comportamenti e non modifica nel profondo abitudini e valori; dall’altra una sensibilità specifica, su argomenti precisi, che mira a recuperare un’educazione che parta dall’ambiente, dalla realtà, dal mondo, e che suggerisca modi di vita, approcci conoscitivi e tempi diversi.
Il primo approccio, quello “comportamentista”, è utile, ma non particolarmente nuovo (e credo nemmeno davvero incisivo): in qualche modo recupera l’educazione ambientale tra le altre “educazioni” e ci suggerisce, dati alla mano, azioni precise.
Mi interessa di più l’altro approccio, quello che guarda al mondo come luogo dell’osservazione, della meraviglia, della scoperta: solo apparentemente più semplici, questi libri (questi giochi, questi approcci), suggeriscono di partire dalla nostra esperienza – e di vivere il mondo, prima di descriverlo.
L’esperimento e l’esperienza
Nel senso appena suggerito, emerge un’altra dicotomia: quella tra esperienza ed esperimento. Da una parte c’è l’esperimento, tipico dell’approccio da laboratorio di chimica e fisica; dall’altra l’esperienza, cioè la capacità altrettanto scientifica di osservare un fenomeno e di coglierne le caratteristiche salienti.
Io credo che la scuola, con tutti i suoi pregi e i suoi limiti, abbia negli ultimi anni preso sempre più la via dell’esperimento, cioè dell’esperienza irreggimentata e controllata, in cui sappiamo già quali risposte attenderci (e le pretendiamo). Lo stesso accade più in generale con la divulgazione: nel momento in cui cerchiamo risposte sempre più puntuali (e internet in questo funziona benissimo), scartiamo i percorsi più lunghi, quelli dell’esperienza, e cerchiamo negli esperimenti solo dei simulacri dell’esperienza.
Sto pensando ai “primi laboratori” di ecologia, agli esperimenti venduti in scatole di gioco, che poco differiscono dai kit per illusionisti[1]: impariamo alcuni fenomeni, ma percependo sommessamente che ogni causa ha il suo effetto. Rinunciamo alla complessità in favore del “risultato”: atteggiamento diffuso in tutti i campi.
Invece, dall’altra parte, in una società che ha irrigidito molto la partecipazione ai momenti educativi, l’esperienza è tornata a essere rivoluzionaria: penso alle scuole boschive[2], agli itinerari nei parchi, ad alcune narrazioni.[3]
L’esperienza può trovarsi ovunque, così come la natura: l’approccio di cui sto parlando rende l’esperienza valutabile, confrontabile, ricca di sapere attraverso una serie di strumenti preziosi.
La mappa
Un primo potente strumento di questo modo di fare educazione è la mappa: fare mappe, rinchiudere un ambiente in un disegno racchiude una potente metafora, quella dell’esplorazione. L’esempio più brillante di questa metafora è Come diventare un esploratore del mondo[4], un libro interattivo che chiede di essere completato con liste e osservazioni ispirate alla vita e all’arte. Essere esploratori significa avere un’idea precisa della conoscenza: non qualcosa da imparare, ma qualcosa da scoprire.
Si possono fare o leggere mappe[5], e la cartina è sempre un elemento di conoscenza del mondo che concilia ciò che c’è e che va osservato con una prospettiva particolare, con un punto di vista e una dichiarazione di interesse: si mappa qualcosa che c’è in un territorio. Fare mappe, inventare mondi, conoscere mondi: il circuito si chiude e si riapre, in un approccio sempre centrato sulla persona che scopre ed esplora.
La raccolta
Strumento parallelo e complementare alla mappa è la raccolta: raccogliere foglie, sassi, osservazioni, suoni… tutti modi per descrivere un territorio cercando di vedere oltre. La raccolta è un gioco che cerca di esaurire un luogo, restando aperti a vedere ciò che non ci aspettiamo. È un gioco contemporaneamente scientifico e prescientifico, dove si impara il gusto dell’osservazione, della differenza, delle possibilità offerte da un insieme.
Per fare una buona raccolta può bastare un taccuino, un mezzo per raccogliere e ordinare i pensieri: nelle parole della Calpurnia di Jacqueline Kelly “Ora che possedevo qualcosa per prendere appunti, vedevo cose che non avevo mai notato prima.”
Nella scuola, e spesso anche a casa, non c’è mai tempo per una raccolta, per una classificazione condotta dal basso: si accettano le descrizioni senza mai capirle e metterle alla prova. Se però si vuole pensare grande, bisogna passare per la raccolta.[6]
L’educazione ambientale offre possibilità di confronto e raffronto che non si esauriscono nel risultato finale: oltre a Keri Smith, penso al recentissimo Ecoesploratori,[7] ancora a Keri Smith, così come ai piccoli musei ideati da Bruno Munari,[8] ai cacciatori di nuvole[9] o alla grande opera del Museo del quotidiano Ettore Guatelli[10], ai libri di Roberto Papetti.[11]
Con le raccolte si può parlare di tutto, e parlando di tutto si parla del mondo: che si faccia etnografia, botanica, geologia o letteratura, parlare del mondo così ha un approccio naturalistico, in cui al centro non sta la classificazione, ma l’unità nella differenza, non la deduzione ma l’induzione, non lo schema ma la vertigine della lista.
Il tempo
Quando si considera la dimensione del tempo, l’approccio educativo di stampo naturalista diventa radicalmente altro da quello di una scuola che va di fretta, di una formazione che deve finire un programma fitto di tante cose segmentate e spezzettate. Il tempo è una componente essenziale della scoperta dell’ambiente: a che ora facciamo un’osservazione, dopo quanto tempo la compiamo nuovamente, per quanto tempo la continuiamo… la natura si scopre con l’esperienza, e l’esperienza si situa nel tempo (non l’esperimento, che deve essere ripetibile e atemporale).
La natura è irriducibile, in questo senso, ai tempi della scuola: o meglio, lo diventa quando essa stessa si fa scuola… come fa scuola con le stelle Lara Albanese,[12] come fa scuola con i ravanelli Emanuela Bussolati.[13] In tutti questi casi la scoperta dell’esperienza naturale accompagna la conoscenza e il percorso educativo, che si fa lungo nel tempo e profondo nell’apprendimento: diventa così la pedagogia della lumaca che auspicava Gianfranco Zavalloni.[14]
Il tempo è strumento perché ci insegna che in natura le cose avvengono nel tempo – e vanno considerate nella loro durata; è strumento perché ci fa sentire la portata e la scala dei grandi fenomeni e delle variazioni ambientali; è strumento perché ci insegna un modo di stare nel tempo, di cogliere la differenza e le variazioni, di non forzare la mano alle stagioni.
Il rispetto e le emozioni
Rispetto: rispetto dei fenomeni naturali, dei tempi dell’osservazione, dell’ambiente… Per far sì che il rispetto non resti un semplice auspicio, ma lo si metta in pratica, occorre vivere la natura, trovare una chiave per immergersi in essa. Ed ecco le emozioni, come chiave conoscitiva e non come scorciatoia: le emozioni che permettono di mettersi in sintonia con l’ambiente e coglierne i passaggi e le sfumature, le trasformazioni e le crisi.
Quando la natura compare come protagonista della narrativa il romanzo è sempre anche di formazione: io non credo che sia una formula retorica, ma un ruolo che ancora riconosciamo a quegli scampoli di natura che conosciamo, per quanto addomesticata. La natura è lì, è qui intorno a noi, perché possa essere costantemente conosciuta e sconosciuta, esplorata ma non data, vissuta.
Coniugando rispetto ed emozioni emerge un sentimento preciso: la meraviglia. L’educazione ambientale oggi ha il merito di essere il campo dove più si pratica, ancora e anche con i bambini, la meraviglia. Meraviglia come stupore, come capacità di ascoltare e accogliere ciò che non ci appartiene e ci pare vitale.
La storia
Il cerchio si chiude, tornando ai musei e alla “storia”, la storia naturale. Le storie sono anche esse portatrici di conoscenza, di un modo particolare di conoscere, che ha molto a che fare con le qualità e gli strumenti che ho fin qui descritto: le storie permettono rispetto in forma di immedesimazione, richiedono stupore (la sospensione dell’incredulità), prevedono mappe e liste… se non sono finalizzate, se non sono racconti a chiave ma mondi da scoprire. La storia “naturale” non è solo il tentativo di raccontare una storia più ampia di quella puramente umana: è anche un approccio narrativo per vivere la natura, per capire come la nostra storia, ogni storia, sia parte di una storia grande, diffusa, lenta, emozionante.
[1] L’azienda leader in questo campo in Italia è la Clementoni, ma si trovano kit in scatola di varie aziende, italiane ed estere. Ce ne sono di buoni e meno buoni, ma in molti spesso prevale la retorica dell’esperimento inteso come effetto speciale.
[2] Le scuole boschive sono “scuole nel bosco”, esperimenti diffusi in tutta Europa e in Italia con continuità almeno dal 1999, quando nasce l’esperienza pavese di Bosco Grande (http://www.amicideiboschi.it).
[3] Due film: Il mio amico Nanuk di Brando Quilici e Roger Spottiswoode (2014) e La volpe e la bambina di Luc Jacquet (2008); un romanzo: L’evoluzione di Calpurnia di Jacqueline Kelly (Salani, 2011).
[4] Keri Smith, Come diventare un esploratore del mondo, Corraini, 2011.
[5] Dal grande Mappe di Mizielinscy e Mizielinscy (ElectaKids), con le mappe del mondo, fino al Libro delle terre immaginate di Duprat (Ippocampo), alla collana Le mille e una mappa di Edt-Giralangolo, dove le mappe raccontano storie e fiabe)
[6] I bambini pensano grande è il titolo dell’ultimo libro di Franco Lorenzoni (Sellerio, 2014), bilancio e rilancio sull’esperienza educativa della sua classe a Giove e in generale sull’approccio della Casa Laboratorio di Cenci (http://www.cencicasalab.it), punto di riferimento importante in Italia sulla cooperazione educativa e sull’educazione ambientale.
[7] Di Delphine Grinberg, Editoriale Scienza, 2015.
[8] Per esempio, Ingannare il tempo, Corraini, 2007.
[9] Cloudspotting. Una guida per i contemplatori di nuvole di Gavin Pretor-Pinney, Guanda, 2006: la bibbia per chi colleziona nuvole.
[10] http://www.museoguatelli.it, nei pressi di Collecchio (PR).
[11] I libri di Papetti sono usciti principalmente per Editoriale Scienza e per ArteBambini. Il suo lavoro di “raccolte” è confluito nel Museo Tintinnabula dentro il Centro La Lucertola di Ravenna (http://www.lalucertola.org).
[12] I suoi libri sono usciti principalmente per JacaBook; Lara Albanese fa parte dell’associazione Googol e di molte reti di divulgazione: http://www.googol.it/.
[13] Ravanello cosa fai? Con tante storie per imparare la pazienza, Editoriale Scienza, 2013.
[14] Gianfranco Zavalloni è stato divulgatore, maestro, dirigente scolastico, burattinaio e bella persona: http://www.scuolacreativa.it è un buon punto di partenza per conoscere una idea di didattica e di scoperta attenta ai bambini e ai loro diritti naturali.