Maurilio ha ottant’anni. Abita nel nostro palazzo da prima che venissero ad abitare i miei genitori. Sa tutto del quartiere e, se uno è disposto ad ascoltarlo, gli racconta come è cambiato un anno dopo l’altro.
“Ha una memoria portentosa” mi dice mia madre.
Lei lo conosce meglio di tutti perché va a fargli dei servizi in casa. Ma non si fa pagare.
“Ha solo una pensione sociale”.
Qualche volta, quando va a trovarlo, l’accompagno.
“Ciao, Maurilio”.
“Ciao, Antonio. Come ti va?”
“Bene, direi”.
“Ti piace studiare?”
“In generale sì.”
Un giorno gli ho confessato che sono dislessico e che leggere è spesso un problema.
Allora anche lui ha voluto farmi una confessione.
“Io non sono mai andato a scuola” mi ha detto.
“Vuoi dire che non sai leggere?”
“Non c’è bisogno di andare a scuola per saper leggere. Ho imparato da solo, leggendo i giornali usati e i fumetti”.
“Perché non sei andato a scuola?”
“Perché ero povero”.
“Che lavoro hai fatto?”
“Ho fatto un po’ di tutto. Ma i padroni non mi hanno quasi mai regolarizzato. Perciò ho una pensione da fame”.
Maurilio ci telefona spesso e ieri ho preso io la sua telefonata.
“Credo di avere la bronchite” mi ha detto. “Se tua madre non mi dà una mano, sono fregato”.
Mia madre è andata a trovarlo subito.
Quando è tornata ci ha detto: “Non ha niente. Deve aver avuto un attacco di malinconia. Ogni tanto soffre di solitudine. Comunque gli porto un’aspirina, perché dice che ha mal di testa. Ne approfitterò per cambiargli le lenzuola. Domani le metto in lavatrice con le nostre”.
Mentre mia madre cambiava le lenzuola, Maurilio mi ha chiesto: “Che cosa posso fare per ricambiare i servizi che mi fa tua mamma?”
“Se non hai i soldi per pagarla, non puoi fare niente”.
“Certe volte mi vergogno a chiamarla. Ma lo faccio perché vorrei vivere ancora qualche anno. Chissà come sarà questo quartiere quando tu avrai la mia età. E chissà se abiterai ancora da queste parti. Forse ti sarai trasferito in un’altra città. O magari in un altro continente. Vorrei farti un’altra confessione, Antonio. Ma non riferirla a nessuno, nemmeno a tua madre. Sappi che da bambino rubavo”.
“Che cosa?”
“Un po’ di tutto. Le caramelle in un negozio di generi alimentari, i fumetti in una cartoleria, un po’ di colla nel laboratorio di un falegname, dove lucidavo i mobili prima di andare a consegnarli. Mi disprezzi?”
“No”.
“E fai male. Non bisogna rubare. Ma io non avevo proprio niente e non mi sentivo tanto in colpa quando ne approfittavo. La frutta non avevo bisogno di rubarla, però. Aiutavo i fruttivendoli a scaricare le cassette al mercato di Porta Palazzo e ne portavo a casa quanta ne volevo”.
“Ecco fatto” ha detto mia madre tornando in cucina. “Il letto è a posto, l’aspirina l’ha presa, domani starà meglio. Buonanotte, Maurilio”.
“Buona notte a lei”.
Maurilio mi ha fatto l’occhiolino e si è messo un dito sulla bocca per ricordarmi di non tradirlo.
Credo che si vergognerebbe come un bambino se mia madre venisse a sapere che da piccolo rubava.
Ma rubava veramente?, mi sono chiesto.
Con questo dubbio sono tornato a casa.
La serie del piccolo Antonio di Angelo Petrosino