Oggi sono andato con mio padre in una libreria del centro.
“Vorrei dare un’occhiata alle ultime novità” mi ha detto. “Se non hai voglia di accompagnarmi, vado da solo”.
“Può venire anche Riccardo con noi?”
“Naturalmente”.
Riccardo non si è fatto ripetere due volte l’invito.
“Mio padre è troppo pigro” mi ha detto “e in centro non va quasi mai”.
Il primo quarto d’ora lo abbiamo passato con mio padre in libreria, a sfogliare libri nel settore per ragazzi.
La commessa a un certo punto ci ha chiesto: “Posso aiutarvi? Cercate un libro particolare?”
“No, stiamo esplorando a caso” le ha risposto Riccardo. “Del resto, lui ha un esperto in famiglia. Suo padre è quello lì”.
“Vuoi dire il signor Petrini?”
“Sì”.
“Sei davvero suo figlio?” mi ha chiesto interessata la commessa.
Ho capito che stava per sottopormi a un fuoco di fila di domande e, anziché risponderle, ho detto a Riccardo: “Bisogna che andiamo, vieni, siamo in ritardo”.
L’ho preso per un braccio e l’ho spinto in strada.
“Come ti è venuto in mente di dirle che sono suo figlio?” gli ho chiesto.
“Mi è scappato. Non ti vergognerai di tuo padre!”
“No, ma non ho voglia di rispondere a chi per prima cosa mi chiede se vorrò diventare scrittore come lui un giorno. Facciamo due passi, intanto che mio padre continua a cercare”.
A una decina di passi dalla libreria abbiamo visto seduto per terra uno dei quegli uomini che vivono in strada.
L’ho indicato a Riccardo e gli ho detto: “Mia madre dice che non devo chiamarli barboni”.
“E come bisogna chiamarli?”
“O senzatetto o clochard”.
“E cosa cambia?”
“Niente. Ma barbone fa pensare a uno sporco e disordinato”.
“Be’, un po’ lo sono, no?”
“Ho cinquanta centesimi in tasca. Adesso vado a darglieli”.
“Io non ne ho nemmeno uno”.
“Basteranno i miei”.
Quando l’uomo, molto anziano e con dei folti capelli bianchi, mi ha visto mettere la mano in tasca, mi ha bloccato chiedendomi: “Che cosa stai per fare?”
“Voglio darle cinquanta centesimi”.
“Non li voglio”.
“Perché?”
“Perché non sono un mendicante o un barbone, se ti va di chiamarmi così”.
“Vuol dire che non prende soldi dalle persone?”.
“No”.
“Allora che cosa ci sta a fare qui?” gli ha chiesto Riccardo.
“Guardo la gente che passa”.
Io e Riccardo ci siamo scambiati un’occhiata perplessa.
Ma l’uomo ha continuato: “Sono finito sulla strada non per pigrizia, o perché non mi piace lavorare, o per vivere di espedienti. Stavo bene fino a un paio d’anni fa. Poi ho incontrato uno che mi ha imbrogliato, mi ha fatto perdere tutti i soldi che avevo e sono finito in miseria. E’ una storia lunga. Non so se riuscirò mai a recuperare i miei soldi, o almeno una parte di essi. Ma intanto non accetto elemosine. Sono troppo orgoglioso per questo”.
Allora come fa a vivere?, sono stato sul punto di chiedergli.
Ma in quel momento mio padre è uscito dalla libreria e ha chiamato me e Riccardo.
“Purtroppo dobbiamo andare” ho detto all’uomo.
“Andate, andate”.
“Magari la sua storia ce la racconterà un’altra volta. Sta sempre da queste parti?”
“Per il momento”.
“Stavate chiacchierando con lui?” ci ha chiesto mio padre.
“Volevamo dargli cinquanta centesimi, ma non li ha voluti” gli ha risposto Riccardo. “E’ un tipo strano. Dice che è troppo orgoglioso per accettare l’elemosina”.
Mio padre ha guardato l’uomo e ha detto: “La prossima volta andremo a parlagli insieme”.
La serie del piccolo Antonio di Angelo Petrosino