Oggi sono andato in montagna con mio padre.
“Tu e io da soli” mi ha detto ieri.
“Divertitevi” sono state le parole di mia madre.
“Non prendete troppo freddo” sono state quelle di Erica.
Anche a Erica piace uscire con mio padre, ma solo quando va alle presentazioni dei suoi libri, dove spera di incontrare scrittori più o meno famosi, per vantarsi di avere stretto loro a mano e di essersi portata a casa un autografo e una dedica strettamente personale.
“Andremo a Chamois, in Valle d’Aosta” mi aveva preannunciato mio padre. “E’ un posto dove non si può arrivare in auto. L’auto bisogna lasciarla a Buisson e di lì prendere la funivia. Il primo balzo è senza piloni intermedi. Ti impressiona?”
“No”.
“Ci aspetta un amico. Ci siamo conosciuti all’università, poi ci siamo persi di vista e qualche settimana fa ci siamo ritrovati. E’ stato lui a cercarmi dopo avere scoperto che la figlia leggeva i miei libri. Si chiama Stefano”.
“Fa lo scrittore come te?”
“No, produce formaggi. Lassù ci sono bei pascoli e le sue mucche mangiano erba buona”.
Prima di farci entrare nella grande cabina che ci avrebbe trasportati a Chamois con un’altra dozzina di persone, l’addetto alla funivia ci ha detto di aspettare qualche minuto. C’era troppo vento e non poteva farci partire. Dieci minuti dopo ha fatto una telefonata a chi ci aspettava all’arrivo, ci ha detto di entrare e la cabina ha cominciato a salire.
Quando siamo stati a metà percorso, con un vuoto immenso sotto di noi, e la cabina che a volte oscillava, a volte sembrava fermarsi, una signora ha esclamato: “Ho le vertigini, mi sento svenire. Voglio tornare indietro”.
“Bella battuta” ha riso un uomo con un paio di baffi a manubrio e che da solo pensava per quattro.
Ma quando ha visto che la donna ha cominciato a battere i pugni contro i vetri della cabina e aveva lo sguardo allucinato, è impallidito e le ha detto: “Ehi, si calmi, si sieda per terra e chiuda gli occhi. In quattro minuti siamo lassù. Su, da brava. C’è qualcuno con lei?” ha chiesto agli altri passeggeri.
Ma nessuno gli ha risposto e l’uomo si è accucciato per terra accanto alla donna, che continuava a ripetere: “Voglio tornare in dietro, voglio tornare indietro”.
Finalmente il vuoto sotto di noi è scomparso e la cabina ha quasi rasentato l’erba prima di approdare alla stazione di arrivo.
L’uomo si è alzato con un po’ di fatica e, finalmente al sicuro, ha detto alla donna: “Stava per metterci in un bel guaio, lo sa? Ma chi glielo ha fatto fare di salire se ha paura del vuoto? La discesa è ancora più impressionante, è meglio che lo sappia. O si fa prendere da elicottero o affitta un alloggio a Chamois”.
La signora, però, anziché irritarsi, gli ha detto: “Grazie, è stato molto gentile”.
L’uomo è rimasto sorpreso, non ha replicato ed è uscito borbottando dalla cabina.
Stefano ci ha regalato quasi due chili di fontina dop e la figlia si è fatta autografare una decina dei libri che scrive mio padre.
Al ritorno non abbiamo incontrato la donna dell’andata e, mentre guardavo nel vuoto, mi sono chiesto come avrebbe fatto a tornare a casa.
La serie del piccolo Antonio di Angelo Petrosino