Che poi, le cose che a me non piacciono di Ioleggoperché credo si possano dire senza difficoltà.
Metterle perfino in un elenco, perché gli elenchi sono molto snelli.
Perché lo stiamo facendo in diversi, e perché lo ha fatto anche Claudio Giunta.
Perché in questi giorni è uscito il nuovo numero di Andersen, dedicato alla promozione della lettura.
Allora a me non piace tanto, non lo amo e non ci posso fare niente, questo Ioleggoperché, né lo slogan né la campagna, perché:
* Perché un po’ mi piace, dai: finalmente un progetto nazionale pensato in grande e che non si limita all’acquisto di spazi pubblicitari.
* Perché si propone di coinvolgere un gran numero di volontari addetti alla promozione del libro, i cosiddetti “messaggeri della lettura”: ignorando così, saltando così una filiera di mediazione del libro che in Italia esiste e che va migliorata, magari, ma non umiliata.
* Perché propone un modello basato non sulle competenze ma sulla buona volontà.
* Perché lo fa con un progetto di gamification, una pratica che umilia (per me) anche il senso del gioco, assegnando delle missioni da compiere e non costruendo consapevolezza.
* Perché non c’è nessuna idea di come sia fatto davvero il territorio italiano (il territorio italiano della lettura), che sta perdendo lettori anche perché sta perdendo capillarità nella diffusione del libro.
* Perché si privilegiano, nella logica dell’evento, i luoghi grandi e le città, le stazioni… e si toglie l’attenzione dalle biblioteche e in qualche modo anche dalle librerie (che pure possono attivarsi).
* Perché i luoghi della lettura in Italia vanno chiudendo, e questo evento rischia di rappresentarne solo un’idea, una promozione mediatica.
* Perché è fatto con il criterio del massimo di notiziabilità nel giorno dell’evento, e non della ricaduta di lungo periodo.
* Perché è effimero.
* Perché lo strumento di promozione sono dei titoli, scelti tra i più vendibili, e non tra i più adatti a creare nuovi lettori: altrove per queste occasioni si fanno tirature ad hoc di libri brevi (per dire).
* Perché non collabora con i festival esistenti, perché è autonomo, perché assomiglia a tante cose italiche che si fanno per far vedere quanto si è bravi, non perché funzionino.
* Perché qualsiasi progetto che in questo momento esalti il volontariato deve farlo a partire dalla valorizzazione delle professionalità: se così non è, non mi piace.
* Perché non c’è nessun pensiero sulla promozione della lettura e del libro: qual è l’idea che sta dietro questa campagna? Che saremmo più disposti a leggere se i libri fossero gratis? O che in realtà gli italiani non leggono perché nessuno gli ha messo un libro in mano?
* Perché chi ha pensato questa campagna l’ha pensata come se si dovesse promuovere una buona abitudine. Se dovessimo fare una campagna sulla necessità di mangiare frutta fresca, per esempio, o di bere più latte, o di fare più sport, le iniziative non sarebbero così diverse.
* Perché trovo autolesionista anche il claim della campagna: “Io leggo perché” manca di specificità e potrebbe funzionare anche come “Io mi lavo i denti perché”, “Io mangio frutta perché”. Esprime sensi di colpa, non intenzioni positive.
* Perché questa campagna, invece, conferma il ruolo degli editori, non portandoli a interrogarsi o a pensare ciò che fanno: è autoindulgente, e non propone nessun modello di libro “utile” – mette l’accento su un “non lettore” che aspetta solo di essere raggiunto dai prodotti della nostra editoria, che sono a prescindere perfetti.
* Perché è indifferente alle passioni dei lettori: non c’è spazio per la complicità (ma vi si ammicca nel ruolo dei messaggeri), non c’è il viaggio con la fantasia, non c’è socialità (ma c’è social), non c’è essere altro da sé, non c’è meraviglia, non c’è ironia. Di queste cose parlava molto bene Annamaria Testa qui.
* Perché non dialoga col sistema dei media, ma propone ciò che i media sanno trattare: non cerca di ottenere trasmissioni sui libri, ma fa una serata finale con la televisione.
* Perché riduce il mondo del libro a una partita del cuore.
* Perché è assai autocompiaciuto.
* Perché qualche partner del progetto scrive perchè così, con l’accento sbagliato. Oh, ci faccio caso.
* Perché è brutto: e io credo che oggi tutti i progetti debbano avere un’attenzione maggiore alla bellezza.
* Perché mi piacerebbe essere smentito, e rivendico il diritto di cambiare idea.