Domenica 8 sarò ospite di una tavola rotonda del Potteraduno, all’interno del festival del fumetto di Novegro. È una specie di piccolo appuntamento fisso coordinato da Marina Lenti, con diversi editor che si occupano o si sono occupati di fantasy.
La tavola rotonda risponde a questa domanda: Fantasy in Italia solo da bambini? Come far cambiare il pensiero comune. Sono molto curioso di conoscere le risposte degli altri tavolorotondati (Marina Lenti, Emanuele Manco, Paolo Gulisano, Martina Frammartino, Amneris di Cesare).
L’argomento è curioso, almeno per me che mi sono occupato spesso di fantasy e di libri per ragazzi: e allora provo a grattare un po’ la domanda, a cercare gli equivoci. Ottima procedura, valida sia nel campo dell’investigazione che in quello della ricerca, applicabile anche alla creazione di un titolo.
La prima cosa da grattare è la prima frase: sembra mancare un verbo. Provo a leggerla ad alta voce (le cose le capisco quando trovo la loro voce – deformazione professionale): e capisco che è una frase colloquiale, che ha un tono complottardo. Non manca il verbo, manca il contesto; manca anche un soggetto: quindi, vuol dire, “noi non siamo bambini, a noi piace il fantasy, eppure spesso si dice che il fantasy è roba da bambini”.
Ok, ci siamo.
Primo equivoco di cui parla questo titolo: il successo del fantasy non è affatto un successo per ragazzi. Il boom di Harry Potter ha riguardato ragazzi e adulti, ed è stato seguito da altri fenomeni trasversali per età: di più, l’unico autore che in Italia ancora macine grandi vendite in questo genere è George Martin, che decisamente non è per ragazzi.
Allora, perché si pensa, perché in parte si pensa, che il fantasy sia per ragazzi? Per colpa o per merito di Harry Potter? No, non credo.
Secondo equivoco: questo tipo di pregiudizio non ha mai riguardato solo il fantasy in Italia. Da sempre, ha toccato il fumetto e i giochi, la fantascienza e l’avventura, l’horror e il fantastico e tutta la letteratura di genere. Praticamente tutto ciò che viene davvero letto in questo paese (tranne i gialli, il noir e i romanzi rosa, che vengono messi ai margini ma non vengono considerati “per ragazzi”). La scuola, a sua volta, in gran parte ancora sancisce questa divisione e contribuisce ad erigere improbabili steccati tra libri e libri, tra autori e autori: come se Orwell fosse un autore di genere, come se Maupassant o Saramago o Murakami abbiano opere di serie A e di serie B, come se King o Dick non abbiano raccontato l’America dei nostri anni meglio di Roth. Insomma, il genere letterario da steccato diventa presto peccato.
Terzo equivoco: cosa è allora la letteratura per ragazzi? Proviamo un attimo a vederla con occhi da lettore, guardando i libri (e non gli altri lettori presumibilmente in target): gran parte della migliore letteratura per ragazzi ha in comune una straordinaria attenzione alla scrittura, alla trama e ai personaggi, al fatto che accadano cose credibili e che la storia fili. La letteratura per ragazzi ha questo in comune con la letteratura di genere: un grande sostanziale rispetto per il lettore, con cui dialoga senza bisogno di altre pezze d’appoggio.
Allora grattiamo: il fantasy in Italia è roba da bambini? Certo, e per fortuna! Dentro la letteratura per ragazzi in Italia sono uscite grandi cose di fantasy, che altrimenti avrebbero forse avuto minore visibilità: penso a Terry Pratchett, penso a Neil Gaiman. Penso a tutto un filone YA che ha svecchiato la nostra editoria. Per carità, non è tutto oro: però non mi vergogno per niente del fatto che il fantasy in Italia sia passato anche dalla letteratura per ragazzi.
Solo per ragazzi? No, certo che no. Ma di chi è il problema? Della collocazione in libreria? È cambiata. Delle copertine? Sono cambiate. Della qualità di ciò che leggiamo? Non dipende dallo scaffale da cui l’abbiamo preso. Dalle battute che ci rivolgono gli altri quando leggiamo qualcosa? Sarebbero diverse ma uguali nella sostanza: chi critica le letture di qualcun altro solitamente non legge, o almeno lo fa senza passione. Sia mai.
No, il problema c’è: è un problema nostro, nostro degli appassionati. Di quando critichiamo un certo autore, un certo filone, una certa collana, in nome di una ortodossia; ortodossia del fantasy, o della letteratura per ragazzi, o della fantascienza, o del fantastico… cambia poco. Un genere letterario, una corrente artistica, un influente gruppo di autori fa successo solo quando sa creare un linguaggio comune, e sa rispettarsi prima di farsi rispettare. Qui abbiamo, temo, qualcosa da imparare. Non deve essere tutto meraviglioso: ma dobbiamo riconoscere che altri lettori possono avere passioni e ragioni diverse dalle nostre (e che un autore cerca sempre: anche quando sembra non aver trovato nulla).
Quindi: come far cambiare il pensiero comune? Cambiandolo noi per primi (siamo noi gli altri: siamo noi i turisti, siamo noi il traffico, siamo noi il mercato, siamo noi i lettori). E pensando che no, non esistono i libri per ragazzi, non esiste il fantasy: esistono libri decisamente fantastici e libri che parlano della realtà, e sono pochi in entrambe le categorie. E in mezzo c’è tanta roba: e in mezzo a questa roba ognuno potrà trovare il suo libro, e con questo trovare altri lettori.
Perché alla fine, perché leggiamo fantasy?
Voi non so, io lo leggo per cambiare il mondo, e per cambiare il pensiero comune.