La maggiore preoccupazione del mio computer mentre navigo è capire cosa potrebbe piacermi. Sì: il mio computer è un narcisista (oppure pensa che io sia un narcisista). Quando guardo un video o ascolto una canzone mi dice “potrebbe piacerti anche…”, quando apro Facebook vedo solo le cose che più potrebbero piacermi; quando navigo su un giornale, quando faccio una ricerca su Google, compaiono per prime le cose che più… esatto, quelle che potrebbero piacermi. Meglio, quelle che il computer ha capito che io ritengo interessanti: per far questo, il mio computer mi spia, registra le mie navigazioni, la parole che digito, le informazioni che cerco, e poi le dice a tutto il mondo. Tutto il mondo digitale fa un grande sforzo collettivo con un solo obiettivo: piacermi.
E io collaboro: quando qualcosa mi piace, metto un like, lo leggo con più interesse, lo apro per primo o più velocemente. Così il mio computer impara che cosa mi piace, e sa meglio come compiacermi.
Anche quando cerco un libro, trovo molti consigli su cosa potrebbe piacermi, su cosa hanno comprato altri lettori che hanno comprato quel libro e così via. A volte leggo questi consigli e mi chiedo come ragioni il mio computer.
Beh, esso ragiona con degli algoritmi: e cerca sempre di trovare qualcosa che assomigli a ciò che ho già trovato. Il mio computer non solo è narcisista ma anche un po’ protettivo: se sa che delle cose non mi piacciono, non me le propone. Credo anche che sia pure un po’ paternalista: se alcune cose sono state sconsigliate, il mio computer non me le propone nemmeno. Non compaiono nei messaggi dei miei amici su Facebook, non appaiono nelle ricerche di Google, semplicemente non ci sono.
A volte mi chiedo che tipo di rapporto ci sia tra noi, tra me e il mio computer: fa di tutto per scoprire cosa mi piaccia, ma per farlo è disponibile a coltivare le mie ignoranze. Credo sia colpa mia: quando il mio computer ha degli slanci, e mi consiglia cose che non conosco ma che tutti stanno leggendo, guardando, ascoltando, spesso lo ignoro.
Il mio computer non è mio amico.
Temo voglia soltanto vendermi roba.
Infatti mi consiglia soltanto cose che vendono tanto, o cose che assomigliano a ciò che ho già comprato.
Un libraio vero, in presenza o virtuale, non fa così: quando mi racconta qualcosa di un libro cerca di non parlare di me, ma del libro. Cerca di dirmi qualcosa che non so.
Il problema è serio, anche se forse non urgente: il mio computer (ma anche il tuo computer, sappilo) sta scientemente erigendo una barriera intorno a me, un filtro che lascia passare solo ciò che già conosco. Eli Pariser chiama lo spazio informativo dentro cui vivo una “filter bubble”, una bolla sicura dentro cui non arriva se non ciò che già in qualche modo mi aspetto.
Un mondo che conferma in continuazione le nostre idee è un mondo stupido, e ci rende più stupidi: è anche a questo che servono i librai e i bibliotecari, le libraie e le bibliotecarie. A tirarci fuori dalla nostra bolla, e a mettere al centro della conversazione non “noi” ma il mondo.