Alle sette Riccardo è arrivato con una grande torcia elettrica in mano.
“A che ti serve?” gli ho chiesto.
“Temo che dovremo esplorare alcuni luoghi bui del quartiere. I gatti si muovono nell’ombra, mica sono stupidi. Meglio essere premuniti”.
“Non restate fuori più di un’ora” ci ha raccomandato mia madre. E ad Erica ha detto: “Non sarebbe meglio rivolgersi al veterinario che si occupa del cane di Antonio? Potrebbe aiutarci lui a procurarci un gatto”.
Ma gliel’ha detto sottovoce e senza nessuna speranza di essere ascoltata. Quando Erica si fissa per una cosa, non c’è verso di farle cambiare idea.
Ci siamo diretti subito in via Cena, dove si tiene un mercato due volte la settimana, luogo di convegno di un buon numero di gatti randagi.
Ma la zona era deserta e non c’era nemmeno l’ombra di un gatto.
“Strano” ho detto. “Che si siano trasferiti altrove?”
“Qualcuno potrebbe averli avvelenati tutti, Tony. C’è chi odia a morte i gatti”.
Dopo aver dato un’occhiata in giro, stavamo per tornarcene a casa, delusi.
A un certo punto, però, abbiamo visto spuntare un gatto da una viuzza laterale.
“Eccone uno!” ho bisbigliato a Riccardo. “Non è né piccolo né grande. Dovrebbe andare bene”.“De
v’essere l’unico sopravvissuto alla strage, Tony”.
“Dici?”
“Ne sono sicuro. Non vedi come si guarda intorno con sospetto? Non sarà facile catturarlo. Ho portato un sacco con me, ma il problema sarà riuscire a metterlo dentro. Secondo me ci disegnerà una ragnatela di graffi sulle braccia”.
“Avviciniamoci con cautela, per non spaventarlo. Io ho portato una scatoletta di gamberi col formaggio. Adesso la apro, ne verso il contenuto in questo piattino di plastica e lo metto sul margine del marciapiede. Se ha fame, non si farà pregare per avvicinarsi a mangiare”.
“Fai presto, potrebbe cambiare idea e andare da un’altra parte”.
“Di che razza è?”
“Boh, per me i gatti sono tutti uguali”.
“Sembra rasato. Mia madre sarebbe contenta, perché non lascerebbe molto pelo in giro”.
Ho posato il piattino colmo di cibo sul marciapiede e il gatto si è avvicinato immediatamente per annusarlo. Quando ha cominciato a mangiare, Riccardo ha fatto un passo avanti con il sacco.
Ma mentre stava per afferrare il gatto per la nuca, una donna, affacciatasi da una finestra al pianterreno, gli ha urlato: “Non permetterti di toccare il mio gatto!”
Quasi subito è uscita sulla strada, ha afferrato il gatto e stringendolo al petto ci ha chiesto sull’orlo del pianto: “Lo avete avvelenato, vero? Ditemi che non è vero, che non siete malvagi a tal punto!”
“Ma quale avvelenato!” le ho detto. “Credevamo che fosse un gatto randagio e ce lo volevamo portare a casa”.
“Non avete visto che ha la medaglietta al collo?”
“Non ce ne siamo accorti”.
“Perché volevate portarlo a casa? Per fargli del male? Per torturarlo?”
Riccardo ha sbuffato: “Ma non dica sciocchezze. E’ sua sorella che lo vuole. Ci dica piuttosto, come mai non si vedono più gatti randagi da queste parti?”
“Di solito ci sono. Stasera qualcuno li avrà saziati altrove”.
“Noi ce ne andiamo” ho detto io. “E stia tranquilla. Quella scatoletta è una delle migliori in commercio e ci è costata un euro e trenta centesimi”.
La serie del piccolo Antonio di Angelo Petrosino