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Scherzo al prof

Entrando in classe dopo l’intervallo, sia io sia Riccardo ci siamo accorti della gomma da masticare sulla sedia dei prof.
Al suo posto, Michele sghignazzava.
“E’ stato lui” mi ha detto Riccardo. “E tra poco arriverà il professor Panizza”.
“Che cosa facciamo, Rick?”
“Lo sai cosa succederà quando la gomma gli resterà attaccata ai pantaloni? Sarà punizione per tutti. Probabilmente dovremo passare in casa il sabato e la domenica con tutti i compiti che ci darà da fare. E io non ne ho voglia”.
Siamo andati a sederci ai nostri banchi, ma Riccardo continuava ad agitarsi al suo posto.
“Non possiamo farci fregare da quello stupido, Tony. Riderà soltanto lui, se riderà. Bisogna prendere una decisione. Vado io o vai tu a toglierla?”
“Può darsi che Panizza se ne accorga prima di sedersi”.
“Non cambierebbe nulla. E poi non se ne accorgerà. Non vedi che è sempre con la testa per aria? Tra meno di un minuto entrerà in classe. Vado io o vai tu, Tony? Decidiamo in fretta”.
“Vado io”.
Mi sono alzato di scatto, sono corso verso la lavagna e, con un fazzoletto di carta, ho rimosso la gomma. Per fortuna è venuta subito via perché non era stata schiacciata sul piano della sedia.
“Che cosa fai fuori posto?” mi ha chiesto Panizza entrando.
“Ho raccolto un gesso che era caduto”.
“Io ti ho visto trafficare con la sedia degli insegnanti”.
“Non è così, prof” ho detto infilando la gomma in tasca.
“Che a nessuno venga in mente di giocarmi qualche tiro. Le conseguenze sarebbero disastrose per l’autore o per tutta la classe se l’artefice del misfatto non dovesse confessare. Vai al tuo posto, abbiamo molto da fare e non possiamo perdere tempo. Anzi, visto che sei già in piedi, resta pure dove sei, ne approfitterò per interrogarti. Hai imparato a memoria la poesia di Marino Moretti?”
“Sì, prof”.
“Dai, sentiamo”.
L’avevo ripetuta un sacco di volte con mia madre e la ricordavo bene. Mia madre mi ha detto che quella poesia era un po’ vecchia e si imparava quando andava lei  a scuola. Ma Panizza ritiene che sia più che attuale.

Ero fanciullo, andavo a scuola: e un giorno
dissi a me stesso: -Non ci voglio andare-
E non ci andai. Mi misi a passeggiare
solo soletto, fino a mezzogiorno.

E così spesso a scuola non andai
che qualche volta da quel triste giorno.
Io passeggiavo fino a mezzogiorno
e l'ore… l'ore non passavan mai.

Quando ho finito di recitare, ha detto alla classe: “Marinare la scuola non paga, ricordatevelo”.
Al momento dell’uscita, Michele mi ha detto: “Non ti do una sberla solo perché, interrogando te, forse mi hai salvato. Ma la prossima volta non la passi liscia”.
“Però avrai a che fare anche con me” gli ha ricordato Riccardo.
E siamo tornati soddisfatti a casa.


 

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