Mancano poche settimane alla fine della scuola e le verifiche si succedono alle verifiche.
“Mi stanno prosciugando il cervello e togliendo ogni forza” si lamenta Riccardo. “Finirò con l’ammalarmi”.
I prof sembrano tutti in preda alla frenesia e aspettano con l’orologio alla mano la fine delle prove che ci assegnano.
“Mancano dieci minuti…cinque…tre …uno…”
C’è chi appallottola i fogli, chi li stira, chi guarda il soffitto alla ricerca di un’ispirazione, chi prova a sbirciare sui banchi dei più bravi.
“Michele, occupati del tuo compito e lascia stare quello di Roberta…Luigi, niente comunicazioni con gli occhi con Rossella. O sai risolvere il tuo problema o non lo sai…Giada, smettila con i suggerimenti labiali. Potrei abbassarti la media…”
Riccardo e io non veniamo mai rimproverati. Sappiamo più o meno le stesse cose, prepariamo le verifiche insieme e dunque non abbiamo bisogno di copiare uno dall’altro.
“Comunque, non siamo proprio uguali” mi dice Riccardo. “Tu sai più storie di me”.
“Me le racconta mio padre”.
Alcune sono proprio belle e saprei ripeterle bene, ma non davanti agli altri, perché mi viene da balbettare.
Gli unici ai quali le racconto sono Riccardo e Margherita. Se c’è da ridere ridono, se c’è da fare qualche commento lo fanno e non mi chiedono troppe spiegazioni.
Margherita mi dice di fare i complimenti a mio padre.
“Chissà quanti libri ha letto!”
Casa mia è piena di libri. E continuano ad arrivarne. Almeno due volte la settimana viene un corriere con uno o due pacchi al seguito.
Di solito il citofono suona verso le due.
“Pronto?”
“Corriere”.
“Scendo”.
Il corriere è un altro che ha sempre fretta. Di solito è un ragazzo che indossa una divisa gialla. In attesa che io scenda a ritirare i libri, lascia il furgone con il motore acceso davanti al portone.
“Uno scarabocchio qui” mi dice.
E mi mette sotto il naso una specie di apparecchio come quelli che si usano per pagare col bancomat. Sul quadrante devo tracciare una firma approssimativa con un dito.
Una volta gli ho chiesto. “Com’è il tuo lavoro?”
“Bestiale. Parto la mattina presto per le consegne e durante il giorno non ho un momento di pausa. Quando la sera ritorno al magazzino, sono completamente spompato”.
“Non puoi fare un altro lavoro?”
“Trovamelo tu. Comunque non mi dispiace del tutto. Almeno non ho il fiato addosso di un padrone. E per uno come me è essenziale. Io sono nato senza catene”.
“Consegni soltanto libri?”
“Macché. Trasporto anche cioccolatini, aspirapolvere, attrezzi da falegname. Adesso però ho perso troppo tempo, devo ripartire e sono in ritardo sulle consegne. Ci vediamo. Che mestiere fa tuo padre?”
“Lo scrittore”.
“Allora anche lui non ama i padroni, immagino. Salutamelo”.
Quando gli consegno i pacchi, mio padre li apre con precauzione, perché teme di rovinare i libri che contengono. Li estrae, li annusa, li accarezza e, con un sorriso, bisbiglia: “Ben arrivati, figlioli”.
Poi mi spiega di quali libri si tratta e perché li ha scelti.
La serie del piccolo Antonio di Angelo Petrosino