Edizioni Sonda

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Il linguaggio inclusivo per i diritti di bambine e bambini

Alice nel paese dei diritti_illustrazione

Ti è mai capitato di andare a una festa dove hai completamente sbagliato outfit? «Total black», c’era scritto in calce all’invito elegante, ma tu ti sei presentatə con la camicia a fiori convintə di mimetizzarti in mezzo ai colori della massa. Ecco, durante l’asilo la mia mini-tragedia si è consumata al compleanno di una compagna: era febbraio, tutt3 travestiti con abiti carnevaleschi. La strega, Spiderman, la poliziotta e il gattino ma io…non ero stata avvisata. Mi presento alla porta in jeans e maglioncino, presto realizzo di essere stata tagliata fuori e inizio a notare le risatine tutt’intorno. «È l’unica diversa!», «nella foto mettiti in fondo così non ti si vede», «che sei venuta a fare?». Nessunə ha fatto niente quel pomeriggio per farmi sentire parte della classe, eccetto una coccinella in calzamaglia che mi ha regalato il suo cerchietto con le antenne. Un minuscolo sforzo che ha creato un pensiero estatico: a qualcuno importa di me!

Questa è la storia (vera) che racconto a bambini e bambine quando parliamo di linguaggio inclusivo. Le storie ci servono, è da lì che partiamo per capire che le parole sono un tutt’uno con la realtà, crescono e cambiano con essa. Le regole – grammaticali e non – le hanno sempre scritte gli uomini bianchi ed eterosessuali. Non che prima non ci fossero le donne o le persone trans o quelle bisessuali: palesemente, però, era molto più semplice starsene nascost3 e in silenzio, perché l’alternativa era rischiare la vita per la libertà. Qualcunə ha scelto questa seconda opzione, per fortuna, aprendo spiragli di luce a chiunque oggi voglia battersi per una società dei diritti.

A proposito di diritti, cercando via via i termini giusti per non lasciare indietro nessunə, ci siamo accort3 che il linguaggio inclusivo può avere più livelli. Già in varie pubblicazioni e in giro per il web, si trovano tantissime proposte per superare il cosiddetto “maschile universale” o “sovraesteso”: l’asterisco *, lo scevà ə, la desinenza in -u, ecc. Ma l’utilizzo di questi simboli – che potremmo definire come il livello alto del linguaggio inclusivo, secondo solo allo sforzo nell’uso orale – complica la lettura per l3 più piccol3. Infatti, non facendo ancora parte della nostra grammatica, soluzioni di questo tipo non vengono identificate facilmente e mal si accompagnano alla lettura ad alta voce, importante strumento di supporto nei primi anni di apprendimento.

Per questo, nella nuova edizione di Alice nel paese dei diritti, ho optato per un primo livello di linguaggio inclusivo, utilizzando ogni volta che è stato possibile sia il maschile che il femminile, ad esempio «tutti i bambini e tutte le bambine possono sognare in grande». In un libro che racconta in chiave fiabesca l’universalità dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, sarebbe stato un controsenso lasciare le ragazze “nel sottinteso”. C’è bisogno di evidenziarne la presenza, invece, di rivolgersi anche a loro in maniera diretta, perché per troppo tempo ne abbiamo ignorato le potenzialità fuori da schemi e stereotipi.

Il viaggio di Alice alla scoperta dei diritti è pieno di strade impervie: ingiustizie, razzismo e fascismo. Anche su questi temi una revisione è stata fondamentale: a trent’anni dalla prima stesura, oggi conosciamo nuovi modi di parlare di inclusione, mettendo al centro le voci e le storie di chi è discriminatə. Nella sezione didattica, poi, tutte le attività sono state adattate a una sensibilità più contemporanea, per esercitarsi a vivere attivamente il presente attraverso il gioco. Grandi avventure e piccole rivoluzioni, in questo libro proprio come nella vita di bambini e bambine consapevoli.

Eliana Cocca, editor e curatrice di Alice nel paese dei diritti

 

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