Il 2015 è cominciato in modo terribile, con una redazione falcidiata da due mitragliatrici, un’azione militare contro l’informazione libera. Dodici persone sono morte, tra cui quattro famosi disegnatori satirici.
L’obiettivo era stato scelto perché il giornale, Charlie Hebdo, se l’era presa in passato anche con gli integralisti musulmani; così come non aveva risparmiato i cattolici, gli ebrei, i comunisti, i socialisti, gli appassionati di calcio o chiunque altro.
Dopo quest’attacco, siamo tutti Charlie: questo è lo slogan diffuso sulla rete. Anche io sono Charlie, e per la precisione:
- Sono Charlie perché una stampa libera è semplicemente libera: che non esiste una libertà condizionata da opportunità. La stampa esiste anche perché dia fastidio, e la satira è un tipo particolare di stampa che esiste perché dia molto fastidio. Tutto ciò deve continuare a esistere. Sono Charlie perché ritengo sano che ci sia chi dice quello che gli pare.
- Pubblicare quello che ci pare non è comunque ripubblicare, per una notizia così, l’esecuzione di un poliziotto sulla strada. Non è trasmettere quella sequenza in televisione. Non è costruirvi la prima pagina. Io sono Charlie, anche perché Charlie è onesto: Charlie ti prende per il culo dicendotelo. La stampa italiana dovrebbe avere più coraggio delle proprie opinioni e non mascherarle da fatti; e dovrebbe avere il coraggio di riportare i fatti.
- Per essere ancora più chiari: non si proibisca alcun argomento; non si inceda mai nel morboso nel trattare qualunque argomento. Sono stufo di doverosi articoli di cronaca nera, rosa, stradale, che vanno regolarmente a solleticare i nostri aspetti peggiori. Credo che essere morbosi confermi la morale corrente (quella che magari si va criticando), e che la vera libertà sia nel far progredire la morale, anche con lo sberleffo. E anche per questo sono Charlie.
- Non è in corso una guerra di civiltà. Non è stata portata la guerra a casa nostra. Il terrorismo ha le sue regole: farci sentire in guerra è il primo obiettivo. Chi racconta questo episodio come un perfetto attacco di guerra stia confermando una narrazione preesistente, indifferente ai fatti: in cui ogni matto che imbraccia un fucile è un soldato addestrato con un piano perfetto. In cui, in questo caso, la furia delle armi zittisce i dettagli: due fratelli con un numero civico sbagliato, senza il codice di ingresso alla redazione, e che perdono una carta di identità. Io sono Charlie anche quando mi rendo conto che non c’è bisogno di spiegazioni complesse, e che a fare tanto male basta la follia e la stupidità umana.
- Io sono Charlie da italiano: e sorrido nel vedere la libertà di satira difesa anche da chi ha invocato pesanti censure contro vignettisti e comici televisivi, anche da chi sta invocando il sequestro di alcuni libri, anche da chi vorrebbe il controllo sulle biblioteche di tutto il paese. Sono Charlie anche perché non ho perso il senso del ridicolo.
- Sono Charlie perché continuo a pensare la satira come uno sberleffo contro i potenti e contro l’abuso di potere. E non vedo tanti nuovi poteri, ma poteri vecchi e sempre più prepotenti: e tante persone lasciate ai margini, poco curate, e una società che va sparendo. E dove ci sono emarginazioni senza società, vedo nascere nuove psicosi, e alcune di queste imbracciano le armi.
- Infine, non penso che nessuno possa essere Charlie per moda, e solo un giorno: penso che sono Charlie, anche io, perché abbiamo bisogno di elaborare questi momenti insieme, di non essere soli. Che essere tutti Charlie ci permetta di coltivare la nostra comune vulnerabilità, e di capire meglio cosa sta succedendo: non subito, ma dopo un po’, magari. O perlomeno di parlarne, ché in questo momento ne ho bisogno: più che leggere un editoriale.