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Questo saggio è un tentativo particolarmente ben riuscito di rispondere a una domanda molto impegnativa: se uccidere è male, ma perché e quali eccezioni possono darsi a questo divieto morale?
Rachels smonta la tesi tradizionale secondo cui l’uccisione intenzionale di un essere umano deve essere assolutamente proibita.Ne mostra con rigore e sobrietà i limiti logici e il legame con una peculiare tradizione religiosa e insiste sull’insostenibilità razionale dei dogmi consolidati come quello della sacralità della vita, proponendo una convincente tesi alternativa, basata sulla distinzione tra il mero vivere in senso biologico e l’avere una vita dotata di significato.
Questa tesi a sua volta implica una riconsiderazione di tutti i momenti di passaggio dalla vita alla mote, a cominciare dall’eutanasia.
Curiosità
In questo saggio James Rachels esamina le idee e le assunzioni che stanno alla base di una delle più importanti regole morali, quella che vieta di uccidere.
L’uccisione di un essere umano solitamente è condannata, ma in alcuni casi l’etica medica permette alcune significative eccezioni. Esiste il mero vivere in senso biologico e l’avere una vita dotata di significato. E la deontologia medica considera una eutanasia attiva e una passiva.
La distinzione tra esse, delineata nell’opera, è considerata cruciale e accettata da molti medici: l’idea secondo cui sia lecito, almeno in alcuni casi, sospendere la terapia, ma che non sia mai permesso intraprendere qualsiasi azione diretta per porre fine alle sofferenze del paziente, altro non è che l’eco di una tradizione culturale ormai discutibile. Il libro affronta questa tradizione proponendo un’alternativa filosofica.
Autorə
James Rachels (Columbus, 30 maggio 1941 – Birmingham, 6 settembre 2003) è stato un filosofo statunitense. La sua principale occupazione è stata la filosofia morale, campo in cui era considerato una fra le più alte autorità contemporanee. Rachels ha dedicato molte risorse all'analisi etica dell'eutanasia, e sulla distinzione fra eutanasia passiva (interruzione delle cure e dei supporti vitali ai malati terminali) ed attiva (la somministrazione di farmaci letali in pazienti che lo richiedano). Il filosofo sostiene la tesi secondo cui non vi sia in effetti differenza, né su un piano morale, né su un piano razionale, fra i due tipi di eutanasia.